Luglio 18, 2025

Parità retributiva in Italia: a che punto siamo?

Negli ultimi anni, la questione della parità retributiva tra uomini e donne è tornata al centro del dibattito pubblico. Nonostante le numerose normative e iniziative a favore dell’equità salariale, in Italia il gender pay gap resta un fenomeno persistente e strutturale, con implicazioni sociali, economiche e culturali che richiedono un intervento sistemico e duraturo.

Il gender pay gap: una fotografia attuale

Secondo quanto riportato dal Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum, l’Italia si colloca al 79° posto su 146 paesi analizzati. Il punteggio complessivo del nostro Paese in termini di parità di genere è del 70,5%, in lieve miglioramento rispetto agli anni precedenti, ma ancora lontano dalla media europea. Il dato più critico riguarda proprio la partecipazione economica e le opportunità: qui il divario tra uomini e donne rimane significativo.

Nel contesto retributivo, il gap salariale medio in Italia si aggira intorno al 5% secondo le stime ufficiali, ma questo valore aumenta notevolmente se si considerano anche le carriere interrotte, la maternità e la scarsa presenza femminile nelle posizioni apicali. In pratica, le donne non solo guadagnano meno, ma incontrano più ostacoli nel crescere professionalmente.

Cause profonde di un divario persistente

Il gender pay gap non è frutto di un singolo fattore, ma il risultato di molteplici elementi che si intrecciano: stereotipi di genere, scarsa conciliazione tra vita privata e lavorativa, minore accesso a ruoli decisionali e una cultura aziendale ancora spesso poco inclusiva.

In particolare, il cosiddetto “soffitto di cristallo” limita l’accesso delle donne ai ruoli dirigenziali. Solo una piccola percentuale delle posizioni di leadership in Italia è occupata da figure femminili, e ciò ha un impatto diretto anche sui salari. Inoltre, le donne tendono a essere impiegate in settori tradizionalmente meno retribuiti, come l’istruzione, la cura e il sociale.

Cosa dice la normativa italiana

L’Italia ha compiuto diversi passi avanti dal punto di vista normativo. La Legge 162/2021, ad esempio, ha introdotto obblighi più stringenti per le aziende con oltre 50 dipendenti in termini di trasparenza retributiva, imponendo la redazione di un rapporto biennale sulla situazione del personale maschile e femminile.

Un altro importante strumento introdotto è la certificazione per la parità di genere, prevista dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Questa certificazione premia le aziende che adottano politiche e pratiche orientate alla parità con sgravi contributivi e vantaggi nella partecipazione a bandi pubblici.

La certificazione per la parità di genere: una leva di cambiamento

La certificazione per la parità di genere UNI/PdR 125:2022 rappresenta uno dei principali strumenti concreti messi in campo per favorire l’equità sul luogo di lavoro. Essa valuta sei aree chiave: cultura e strategia, governance, processi HR, opportunità di crescita, equità retributiva e tutela della genitorialità.

Ottenere la certificazione non è solo una questione di conformità normativa: si tratta di un vero e proprio percorso di trasformazione aziendale. Le imprese che investono in politiche inclusive e trasparenti migliorano il clima interno, attraggono talenti e consolidano la propria reputazione. Inoltre, secondo quanto emerge dai dati raccolti, le aziende certificate registrano una maggiore produttività e un più basso turnover del personale.

Dati incoraggianti, ma il cammino è ancora lungo

Nonostante i segnali positivi, il processo di adozione della certificazione resta ancora limitato. Secondo l’analisi di Ipsoa, le imprese più attive in questo campo sono grandi gruppi o aziende del settore pubblico, mentre tra le piccole e medie imprese la diffusione è ancora scarsa.

A ciò si aggiunge una carenza culturale: la parità di genere è spesso percepita come un “tema etico” e non come un vantaggio competitivo. Occorre un cambio di paradigma, che parta dall’educazione, coinvolga le istituzioni e arrivi fino alle politiche aziendali quotidiane.

Il ruolo delle aziende: tra responsabilità e opportunità

Il mondo del lavoro può diventare un potente motore di inclusione, a patto che le organizzazioni siano disposte a mettersi in discussione. La promozione della parità retributiva non si esaurisce con l’eliminazione delle discriminazioni salariali, ma passa attraverso una revisione complessiva dei processi decisionali, dei modelli di leadership e delle dinamiche interne.

È qui che strumenti come la certificazione assumono un valore concreto: essi forniscono linee guida, indicatori misurabili e un metodo per tradurre i valori in azioni. Non si tratta solo di “essere conformi”, ma di costruire ambienti di lavoro equi, sostenibili e proiettati al futuro.

Verso una cultura della parità

La parità retributiva in Italia resta una sfida aperta, ma anche un’opportunità strategica per il tessuto economico e sociale del Paese. Le iniziative normative, la diffusione delle certificazioni e l’attenzione crescente da parte dell’opinione pubblica indicano un cambiamento in atto.

Tuttavia, per rendere questo cambiamento davvero strutturale, è necessario che ogni attore – aziende, istituzioni, lavoratori – faccia la propria parte. Investire in equità oggi significa costruire un domani più giusto, competitivo e inclusivo per tutti. E la parità salariale non è un traguardo simbolico, ma un diritto fondamentale da garantire, misurare e tutelare con responsabilità.

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